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Amor de Morbo infodemiae temporibus.JPG
Omnia vincit amor filigrana.JPG

2019

Amor de Morbo infodemiae temporibus

Aprile 2020

Scatola di legno, vetro, carte da gioco, cartoncino e colla

cm 11,7 x 11, 7 x 2,6

Amor de Morbo infodemiae temporibus: L’amore ai tempi dell’infodemia sul Morbo

Sul cartiglio: S.C. ME FECIT IV MMXX: Simona Cozzupoli mi fece nell’Aprile 2020

In una piccola scatola di legno quadrata un uomo e una donna delle carte lombarde si affacciano a un davanzale reclinando la testa l’uno verso l’altra in segno d’amore, ma restando a distanza di sicurezza e indossando la mascherina. Il seme di cuori, al centro, corona il loro amore impossibile, in contrasto con l’opera precedente intitolata “Omnia vincit amor”, nella quale le stesse figure sono invece vicine. Sul cartiglio spiegazzato in primo piano si legge “S.C. ME FECIT IV MMXX”, cioè “Simona Cozzupoli mi fece in Aprile 2020”: come nei dipinti rinascimentali, anche in questa bacheca a parlare è l’opera stessa. Citando pittori come Giovanni Bellini, ho sostituito al cartiglio dipinto con precisione realistica, ai limiti del trompe-l’oeil, un cartiglio reale, giocando sull’affascinante rapporto tra realtà e rappresentazione, tema che attraversa la storia dell’arte per secoli, fino a giungere alla contemporaneità.


 

Qualche riflessione personale sull’attuale pandemia (10 Aprile 2020)

Quando i giornali hanno cominciato a parlare di coronavirus, a febbraio, pubblicando in copertina fotografie dal tono apocalittico di uomini protetti con mascherine e tute, non ho dato molto peso a quelle notizie, ormai assuefatta all’allarmismo tipico dei mezzi di informazione. La situazione è poi rapidamente peggiorata di giorno in giorno e di ora in ora e ci siamo trovati tutti a doverci confrontare non solo con la paura di un virus sconosciuto, altamente contagioso e potenzialmente letale (almeno per alcune categorie di persone), ma anche con la difficoltà, ai limiti dell’assurdo, di dover cercare le informazioni su internet, distinguendo quelle veritiere dalle fake news, quelle “ufficiali” da quelle “alternative”, spesso provenienti entrambe dallo stesso mondo scientifico.

In altre parole, oltre alla pandemia, abbiamo dovuto affrontare (e lo stiamo ancora facendo) una “infodemia” sul virus, cioè una diffusione contagiosa, incontrollabile e contraddittoria di informazioni che con estrema rapidità creano e smontano interpretazioni sull’argomento.

Questa situazione mi fa venire in mente le riflessioni di Ivan Illich sulla “controproduttività paradossale” tipica delle società industrializzate contemporanee. Questo fenomeno si verifica quando, in qualunque ambito, superata una certa soglia, si ottiene l’effetto contrario rispetto a quello perseguito. Così come troppe automobili (il cui scopo è di farci spostare più rapidamente) creano traffico e ingorghi facendoci muovere più lentamente che se andassimo a piedi, così un eccesso di informazioni non può che azzerare l’informazione stessa, lasciandoci sempre più confusi e disorientati. Gli esempi possono essere numerosi: le mascherine servono, ma anche no; lavarsi spesso le mani va bene, ma non troppo; ci vorrebbe il vaccino, ma un vaccino per un virus non immune non esiste; ci sono relazioni tra coronavirus e 5G oppure è una bufala; nel conteggio dei morti “per” coronavirus rientrano anche quelli “con” coronavirus oppure sono due cose diverse, ecc.

Nell’epoca della postverità risulta quindi praticamente impossibile informarsi su qualunque argomento, soprattutto su quelli che prevedono conoscenze specialistiche possedute da una minoranza della popolazione, all’interno della quale si scontrano oltretutto correnti contrastanti. Allora è proprio vero che con internet, che ha ampliato e reso accessibile a un numero crescente di persone l’informazione, c’è più possibilità di informarsi?

Personalmente credo di no. A mio parere il problema delle attuali società industriali è proprio il superamento della soglia di cui parla Illich e di cui già parlavano gli antichi. I Greci usavano il termine “hýbris” per indicare un comportamento basato sull’eccesso e sulla tracotanza, cioè sul superamento di un limite. Chi si macchiava di “hýbris”, nei miti e nelle tragedie, veniva regolarmente punito dagli Dei perché l’ideale degli antichi era la giusta misura, l’ “aurea mediocritas” . Greci e Romani sapevano bene che “Mètron àriston”, cioè “la misura è la cosa migliore” e che “in medio stat virtus”: “la virtù sta nel mezzo”. In oriente si trova lo stesso concetto con la “legge della moderazione”, in base alla quale ogni manifestazione naturale, una volta raggiunto il suo culmine, non può che decadere.

Questo spero possa insegnarci il coronavirus.

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